Ieri ho corso la mia ennesima maratona di Roma, ma la prima nel ruolo del pace maker. Intanto, direte voi, che sigifica pace maker?
Il pace maker è quel runner che, dotato di palloncini o altro oggetto vistoso, corre la gara sempre alla stessa andatura, al fine di “portare” con lui al traguardo tutti quelli che vogliono fare quel determinato tempo.
A Roma ci sono i pace maker che partono dalle 3h fino a quelli delle 6h, un gruppo ogni 15′.
Io sono stato arruolato nel gruppo delle 3h 30′, ovvero di chi voleva correre la maratona a 5’/km (12km/h per intenderci).

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I pace maker sono un po’ considerati gli angeli per chi corre. Questo perchè oltre a fare il passo giusto ti incitano, cercano di non farti mollare, ti spiegano il percorso, ti aiutano a prendere i rifornimenti… insomma, spesso è grazie a loro che molti runner riescono a centrare l’obiettivo.

Nella mia prima gara in assoluto, la Roma-Ostia del 2008, mi misi dietro al pace maker di 1h 45′ e ricordo perfettamente quanto mi incitò a non mollare, quanto ci spronò ad andare avanti, a spegnere il cervello al 18imo km per seguire solo i suoi palloncini senza pensare a nulla. Fu veramente di aiuto, tanto che mi promisi che un giorno o l’altro l’avrei voluto fare anche io in una gara.
E così ieri ci sono riuscito.

Io, Maruska e il grande coach prima della partenza

Io, Maruska e il grande coach prima della partenza

C’è un piccolo aneddoto. La sera prima ho messo in carica il mio Garmin. La mattina mi sveglio e lo trovo completamente scarico. In pratica non si era caricato per qualche assurdo motivo. Mi sono detto “cazzo, come faccio senza GPS?”. Lo metto in carica subito mentre mi preparo e faccio colazione ma al momento di uscire di casa ha solo il 41% di batteria. Sicuro non mi dura per 3h 30′. Decido di portarmi il mio casio anni ’80 da 15 euro e usarlo fino alla mezza. Tanto dovevo solo calcolare 5’/km per tutti i chilometri che facevo, era abbastanza semplice. Tanto non avevo alternative!

Tornando alla partenza, eravamo 4 pace maker sulle 3h 30′ e già prima dell 8.50, andando in giro con la maglia da pacemaker e i palloncini, tanta gente ci avvicinava per chiederci consigli, se saremmo andati ad un passo costante, da dove saremmo partiti… insomma già si respirava la sensazione di responsabilità di cui eravamo investiti.

Si parte alle 8.50 precise. Le direttive erano di fare 3h 30′ dallo sparo, non dal passaggio sotto l’arco della partenza. Per i non addetti ai lavori, partendo dietro per via della folla, dal momento dello sparo al momento in cui si arriva sotto l’arco di partenza può passare anche 1′. Nel nostro caso sono passati 44″ che avremmo dovuto comunque recuperare nel corso della gara al fine di arrivare sotto l’arco di arrivo esattamente a 3h 30′.

La gara parte e chiaramente all’inizio è un po’ una bolgia per via delle tante persone che corrono su via dei Cerchi (accanto al Circo Massimo). Perdiamo un po’ di tempo, il ritmo non è assolutamente costante. La mia paura era di essere tartassato dai vari runner che si sarebbero lamentati del ritmo, troppo forte o troppo lento, durante tutto il pecorso.
Esattamente al primo chilometro ecco il primo runner che mi fa “oh, vai troppo forte così”. Io non ho risposto ma dentro di me ho pensato che cominciavamo proprio bene!

Andiamo avanti e sui 10km già avevamo recuperato un 20ina di secondi sui 44″ che avevamo perso all’inizio. Finalmente si riesce a correre senza dover continuamente chiedere permesso o evitare gli altri runner davanti. Siamo abbastanza costanti, controllo il mio super Casio ogni tanto, ma per lo più mi adatto agli altri tre pace maker che hanno il GPS acceso.

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Arriviamo alla mezza maratona in 1h 45′ 27″, ovvero 27″ sopra il “gun time” per chiudere in 3h 30′ 00″. Non eravamo preoccupati, avevamo ancora 21 km da fare e tutto il tempo per recuperare.
Finalmente accendo il mio GPS così almeno ho anche un riferimento personale.
Il gruppo dietro a noi è veramente numeroso. Ogni tanto mi giro per vedere quanti siamo e mi incute un po’ di ansia pensare che tutte quelle persone ti hanno come riferimento e che non puoi sbagliare.

Arriviamo al 30imo in 2h 29′ 07″, con una 30ina di secondi di vantaggio rispetto alla tabella di marcia. Meglio così perchè da questo punto in poi il ritmo probabilmente sarebbe sceso e quei secondi in più ci sarebbero serviti per gestire meglio questi ultimi 12 chilometri.

Da questo momento in poi i discorsi tra noi 4 pacemaker sono tutti sulla matematica: cercare di capire che ritmo tenere da lì fino ai 42,195km. In effetti anche i 195mt a 5’/km significano 1 minuto da calcolare oltre i 42km. Insomma, si decide di andare a 4’57”-4’58″/km fino alla fine.

Questo è il momento più duro per i corridori e effettivamente, visto che il giorno prima ero stato impegnato tutto il giorno a montare un gazebo, anche io comincio a sentire un po’ di stanchezza sulle gambe. In questi ultimi chilometri anche io ho poco fiato per incitare; per fortuna ci sono gli altri pace maker che stanno meglio di me e ogni tanto gridano ai runner di non mollare.

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Al 40imo chilometro si passa sotto il traforo Umberto I e lì c’è l’ultimo ristoro. Non so cosa mia sia successo esattamente, ma appena entrato nella galleria ho cominciato a vedere macchie bianche davanti agli occhi, quasi da non riuscire a vedere bene davanti a me cosa ci fosse. Mi era capitato un’altra volta, non ricordo bene nemmeno quando, ma ricordo che ero molto stanco. Ho pensato subito che fosse un problema di idratazione quindi mi sono fermato un attimo e ho bevuto due bicchieri d’acqua.
Chiaramente ho perso un po’ di secondi e gli altri pacemaker sono andati avanti.

Appena ripartito le macchie non erano sparite e quindi ho corricchiato più lento di quello che dovevo fare. Dopo circa 30″ le macchie finalmente erano andate via ma ormai avevo perso 40″ buoni rispetto agli altri.

Insomma, sono arrivato al traguardo in 3h 30′ e 39″, ho sforato quindi di 39″ (considerando il real time ho fatto però 3h 29′ 51″). Vabbeh, ci può stare tutto sommato essendo la mia prima esperienza da pace maker.

Questi i parziali

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Spero che tutti quelli che ci hanno seguito abbiano fatto il loro personale e che abbiano trovato in noi uno stimolo per andare avanti e non mollare, soprattutto negli ultimi chilometri quando la gara si fa veramente molto dura.

Ad maiora!

PS: la più felice di questa mia esperienza è stata mia figlia Gaia. Appena tornato a casa le ho dato i palloncini e non mi ha più filato per tutto il giorno!

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maurizio